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Crisi rifiuti: è un problema mondiale!


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01 Agosto 2018

La crisi che ha colpito il settore ecologico non accenna a diminuire, anzi, con tutta probabilità ci saranno nuove ripercussioni: discariche sature, inceneritori intoppati, termovalorizzatori a pieno regime ma in un numero risibile e impianti che stanno esaurendo gli spazi di stoccaggio con conseguente pericolo incendi.

La chiusura del mercato cinese ha creato il caos in un settore delicato, dove opinione pubblica, senso civico e buon senso continuano a scontrarsi.

“Consoliamoci”, siamo in buona compagnia. La crisi non colpisce solo l’Italia, tutti i Paesi stanno facendo i conti con questa situazione, annunciata da tempo, ma alla quale nessuno ha prestato abbastanza attenzione – e qualcuno ancora non ne presta.

La situazione

Come abbiamo ampiamente documentato, la Cina dal 1 gennaio 2018 ha irrigidito notevolmente i limiti per l’importazione di materiale riciclabile (24 tipi di materiali per l’esattezza), fissando a 0,5% il limite di impurità.

Recentemente il Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese ha annunciato che dal 31 dicembre 2018 ci saranno rigide limitazioni di altre 16 tipologie di materiali, tra cui i rifiuti automobilistici compressi e le imbarcazioni in demolizione; ai quali si aggiungeranno altre 16 tipologie dal 31 dicembre 2019, tra i quali i rottami ferrosi.

Questo ha reso l’export verso il gigante asiatico pressoché impossibile.

Secondo il report “The Chinese import ban and its impact on global plastic waste trade” condotto da Science Advances, negli ultimi 20 anni, la Cina avrebbe importato il 45% di rifiuti plastici.

Nel 2016, su circa 56,4 milioni di tonnellate di carta che i cittadini dell’UE hanno gettato, circa 8 milioni sono finiti in Cina.

A questa situazione bisogna aggiungere un aumento del PIL dovuto alla ripresa economica che ha generato una crescita nella produzione dei rifiuti di 2 punti percentuali. Dato confermato dal report 2018 del Centro ISPRA.

L’Europa ed i Paesi più ricchi, hanno sempre propagandato con orgoglio gli ambiziosi obiettivi dell’economia circolare e gli ottimi risultati ottenuti, obiettivi e risultati sempre anche da noi documentati, dimenticandosi però l’importanza di avere uno sbocco “sicuro” nel quale far defluire tutti quei materiali che non possono essere riciclati.

Sottolineiamo che crediamo fermamente nell’economia circolare e siamo convinti che il futuro non possa che basarsi su questi principi – e lo conferma il taglio che abbiamo sempre dato ai nostri articoli – ma bisogna anche essere realisti: oggi non è possibile gestire il settore ecologico senza avere alle spalle una solida struttura di impianti finali.

Italia tra crisi dei rifiuti e Decreto della discordia

Come dicevamo, il settore ecologico ha bisogno di un sistema strutturato di impianti finali per poter gestire tutti i rifiuti che non possono essere riciclati o più semplicemente, per accogliere quei materiali riciclati che oggi non hanno più un mercato. Basti pensare, paradossalmente, che l’attività di recupero genera scarti pari a 2,5 milioni di tonnellate.

Assorecuperi e FISE UNICIRCULAR (Associazioni delle imprese del settore del riciclo), per voce dei rispettivi Presidenti, è da tempo che denunciano il problema della mancanza degli impianti.

Oltretutto, nel 2014 è entrato in vigore il Decreto “Sblocca Italia” che con l’art. 35 classifica i termovalorizzatori come impianti di recupero energetico R1 e, come tali, non possiedono i limiti di bacino, ponendo dunque la possibilità di raccogliere i rifiuti di altre regioni.

I pochi impianti finali presenti in Italia, sono obbligati dal Decreto a prestare “mutuo soccorso” ai rifiuti urbani extraregionali rispetto agli speciali locali. Il poco spazio che ne rimanere diventa lo scenario di un mercato al rialzo per poter conferire.

Tra l’incudine e il martello si trovano gli impianti intermedi: da una parte la mancanza di spazi per poter smaltire i rifiuti in discariche, inceneritori o termovalorizzatori, e con i pochi spazi disponibili che aumentano le quotazioni in maniera esponenziale; dall’altra la volontà di tutelare i clienti, sui quali non si vorrebbe far ricadere i costi del trattamento rifiuti.

Questo impasse ha come risultato l’accumularsi dei rifiuti nei centri di stoccaggio con i conseguenti problemi di sicurezza che ne derivano: in primis il superamento dei quantitativi consentiti.

Non sono un caso i numerosi incendi che stanno “colpendo” gli impianti di stoccaggio anche al nord. La situazione ha spalancato le porte alla criminalità e a ricorrere sempre più spesso a metodi illegali per disfarsi dei rifiuti, come dimostra l’inchiesta riportata da Il Post.

Italia, un passo avanti e due indietro

Ci sarebbero da fare delle considerazioni più approfondite sul Decreto “Sblocca-Italia”.

Sicuramente l’art. 35 del Decreto ha creato molto disordine ed affollamento negli impianti del nord ed ha deresponsabilizzato le Amministrazioni meridionali e consentendogli di trasferire il problema dei loro rifiuti alle Amministrazioni settentrionali che in questi anni sono state più lungimiranti.

C’è da sottolineare un aspetto però: se è vero che ha contribuito attivamente alla creazione di un effettivo mercato nazionale dei rifiuti, e anche vero che prevedeva la costruzione di una rete di inceneritori nel Centro Italia e nel Mezzogiorno.

Ma ogni progetto ha sempre il suo intoppo: siccome sarebbero state le singole Regioni a decidere dove costruirli, secondo il Rapporto preliminare del ministero dell’Ambiente non si sarebbe potuto stabilire quanto il Piano avrebbe inciso direttamente sulle componenti ambientali. E dunque, non si sarebbero potuti puntualmente determinare e calcolare gli effetti significativi sull’ambiente, a cominciare dal superamento dei livelli di qualità ambientale.

E arriviamo ad oggi.

Alcune associazioni avevano contestato il decreto Sblocca Italia del 2014 che sollecitava la costruzione di impianti moderni, e il Tar del Lazio ha deciso, con l’ordinanza del 24 aprile 2018, di sospendere il giudizio di illegittimità del decreto in attesa della risposta della Corte di Giustizia Europea sul Dpcm attuativo del 10 agosto 2016 che applica l’articolo 35 della legge 133 Sblocca Italia del 2014.

E mentre i gruppi ambientalisti e una parte della politica esulta, da Napoli ripartono le navi per l’export di rifiuti mentre l’azienda provinciale di nettezza urbana, la Sapna, ha appena affidato per 1,02 milioni di euro alla bolognese Herambiente il compito di ritirare la spazzatura degli impianti di tritovagliatura.

Dunque ci troviamo in una situazione paradossale: le Regioni che non sono strutturate per gestire i rifiuti, non vogliono impianti moderni sui loro territori, in compenso inviano containers pieni nelle Regioni attrezzate che in questo modo non possono gestire i rifiuti speciali locali, facendoli accumulare negli impianti di stoccaggio con tutti i rischi che ne conseguono.

La situazione mondiale

Se l’Italia si trova in una profonda crisi dalla quale sembra difficile uscire, non se la passano meglio gli altri Paesi, sia Europei che non.

Il blocco cinese ha portato alla luce tutti i problemi che orbitano attorno alla filiera del riciclo. Problemi che fino a poco tempo fa venivano letteralmente spediti dall’altra parte del mondo.

E così, in Francia, Pascal Gennevieve, capo della sezione carta di Federec, la federazione dei riciclatori francesi e direttore del riciclaggio presso il gigante francese di gestione dei rifiuti Veolia lascia dichiarazioni di questo tipo ai media:

“Tutti i centri di smistamento sono intasati, le nostre scorte superano i limiti consentiti. Subito dopo il picco di Natale, avevamo un sacco di carta e nessuna soluzione di esportazione. Tutti gli impianti europei sono pieni, saturi”.

In Gran Bretagnacome riporta in questi giorni il The Guardian, i quantitativi di rifiuti mandati all’incenerimento supereranno tra poco quelli avviati a riciclo.

Di fatti, e lo dicono i dati, la percentuale di rifiuti riciclati si è stabilizzata attorno al 44%, dato bloccato dal 2014. Mentre le tonnellate di rifiuti inceneriti è aumentata da 5,5 milioni di tonnellate nel 2013-14 a oltre 10 milioni di tonnellate nel 2016-17.

Jacob Hayler, direttore esecutivo dell’associazione per il commercio dei rifiuti dell’ESA, ha dichiarato:

“Troppo spesso il dibattito è avviato come riciclaggio o incenerimento – è il modo sbagliato di inquadrarlo. In realtà, è una discarica contro l’incenerimento per cose che non puoi riciclare”.

La Gran Bretagna era uno dei Paesi occidentali che insieme agli Stati Uniti esportava più rifiuti verso la Cina, proprio per una politica di contrasto contro le discariche locali, politica rafforzata anche da una tassa. Oggi i flussi di rifiuti si sono spostati verso altri Paesi asiatici, come IndiaIndonesiaVietnam, i quali però non possono nemmeno lontanamente assicurare la mole che trattava la Cina e dove, oltretutto, le varie associazioni ambientali stanno già cercando di contrastare.

Gli Usa, Paese che come dicevamo era tra i maggiori esportatori di rifiuti verso il sud-est asiatico, sta facendo i conti con la saturazione delle discariche.

Sulla base dei dati raccolti da Waste Business Journal, nei prossimi cinque anni si prevede che la capacità totale di discarica negli Stati Uniti diminuirà di oltre il 15%. Ciò significa che entro il 2021 rimarranno solo 15 anni di capacità di discarica. Tuttavia, in alcune regioni potrebbero essere ancora meno.

Il blocco cinese non ha fatto altro che incrementare esponenzialmente la situazione americana come documenta anche The New York Times.

In Australia, sono stati trovati più di 200 siti di stoccaggio di rifiuti pericolosi non a norma solo a Victoria.

Gli impianti continuano ad accumulare i rifiuti, nonostante i rischi. Solo l’anno scorso l’impianto di SKM di Coolaroo è stato vittima di un incendio che durò 11 giorni. Le indagini hanno rivelato che l’impianto accumulava 250 tonnellate di materiale al giorno.

Paesi del est Europa hanno una gestione dei rifiuti piuttosto arretrata. Presentano percentuali di riciclo e smaltimento inversamente proporzionali, con un uso spropositato delle discariche.

Conclusioni

La situazione è critica.

L’Occidente, con l’Europa in primis, pone obiettivi nobili, come testimoniato dai vari summit sullo Sviluppo Sostenibile e l’Agenda 2030. Ma il blocco cinese ha reso noto a tutti i professionisti del settore, quanto sia fragile questo sistema senza una strutturata rete di impianti finali.

I rifiuti urbani provenienti da territori che non presentano strutture adeguate, stanno mettendo in ginocchio gli impianti intermedi, i quali hanno a che fare per lo più con rifiuti speciali industriali, gli stessi vengono messi in attesa per agevolare gli urbani, anche quelli extraregionali.

Questa mancanza di spazi costringe gli impianti intermedi a stoccare i rifiuti in attesa di disponibilità, aumentando i rischi di incidenti e incentivando delle soluzioni illegali.

La situazione sembra non interessare all’opinione pubblica. I media parlano del problema rifiuti nei centri cittadini senza mai entrare nel merito dell’argomento, senza mai chiedersi i motivi, senza mai fare un passo indietro ed analizzare il quadro generale. Non è un problema dei singoli Comuni e nemmeno un problema nazionale: è una crisi globale.

E se negli altri Paesi, consci del problema, è in atto un dibattito e si studiano altre soluzioni alternative grazie alla loro rete di impianti, in Italia tutto tace, il Bel Paese si fa attendere.