29 Novembre 2019
L’aumento dei costi di smaltimento dei rifiuti per l’industria manifatturiera del Paese è stato di 1,3 miliardi di euro all’anno, pari a un incremento medio di oltre il 40% negli ultimi due anni. Questa la stima che emerge dallo studio I rifiuti speciali e la competitività del sistema delle imprese, realizzato da Ref ricerche in collaborazione con la Fondazione Utilitatis, e presentato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) nell’ambito di Ecomondo 2019.
Come ripetiamo anche noi ormai da molto tempo, alla base di questi aumenti ci sono le difficoltà nello smaltimento dei rifiuti e l’ampiamento dei tempi di ritiro da parte degli smaltitori. Ciò è dovuto alla carenza impiantistica che, a fronte di una crescente domanda, vede una sempre più limitata offerta, la quale, per essere soddisfatta, deve ricorrere anche a soluzioni estere.
Ecco le cause della fragilità dell’sistema di gestione del rifiuto secondo lo studio in oggetto:
In Italia mancano impianti per 2,1 milioni di tonnellate annue di spazzatura urbana e ben 1,3 milioni di tonnellate vengono esportate.
Il fabbisogno annuale di impianti per lo smaltimento dei rifiuti si attesta intorno ai 5,3 milioni di tonnellate.
Ovviamente la situazione sul territorio nazionale non è omogenea, sono risapute le discrepanze tra il centro nord e il centro sud. Circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani vengono ogni anno smaltiti nelle in Regioni diverse da quelle di produzione.
La città di Roma è sicuramente uno degli esempi più impattanti e negativi del Bel Paese. Chiunque si sia seduto al Campidoglio, ha chiuso un occhio sul problema rifiuti ed ha dato voce a quella parte, molto consistente, di opinione pubblica che è contraria alla costruzione impianti per i rifiuti.
La soluzione romana di questi anni, come è stata rinominata dall’associazione di categoria Assoambiente, è stata quella del “turismo dei rifiuti”: riempire di spazzatura i camion e spedirli altrove. E malgrado ciò, spesso questi camion tornano indietro perché contengono impurità e non possono essere gestiti.
La Sicilia ha il primato negativo di rifiuti in discarica: oltre il 73% dei rifiuti urbani. Nonostante questo drammatico dato, la Regione non sembra intenzionata a trovare soluzioni per l’inadeguatezza dei pochi impianti di riciclo e soprattutto a non voler la costruzione di un termovalorizzatore.
Il caso della Campania è un esempio abbastanza borderline. La Regione risulta essere perennemente sull’orlo dell’emergenza e se riesce a mantenersi è solo grazie all’inceneritore di Acerra. Significativi sono i brevi periodi in cui l’impianto si ferma per lavori o per manutenzione: in quei giorni il territorio viene monitorato minuziosamente perché presenta un altissimo rischio ambientale.
Dalla ricerca emerge che in Italia si fa ancora un largo utilizzo della discarica. Questa soluzione, secondo gli studi, è la più impattante a livello ambientale, soprattutto per quanto concerne le emissioni di CO2.
I rifiuti urbani smaltiti in discarica ammontano a 6,5 milioni di tonnellate. E stiamo parlando solo dei rifiuti urbani.
Oltre a questo dato, già di per sé particolarmente negativo, gli studi stimano che la vita residua delle discariche non arriva a 10 anni. Alla luce dei target fissati dall’Unione Europea sull’economia circolare (65% di riciclaggio e conferimento massimo in discarica del 10% entro il 2035) risulta lampante il difficile raggiungimento degli obiettivi se si mantiene questo andamento.
Un’importante testimonianza ci arriva direttamente dai big del settore, da quelle aziende che gestiscono gli impianti di smaltimento sul nostro territorio, come ad esempio Ecoeridania o Iren Ambiente.
Durante l’evento fieristico di Ecomondo 2019, infatti, siamo stati invitati a partecipare alla tavola rotonda organizzata dalla società Ecoeridania per discutere sulla precaria situazione dei rifiuti. Al presente convegno, dal titolo “Rifiuti industriali: termovalorizzazione in Italia, passato o futuro?” e moderato dal Vicedirettore esecutivo di Radio 24, Sebastiano Barisoni, hanno partecipato personalità di importanza nazionale ed internazionale e illustri personaggi politici.
Le dichiarazioni sono ormai le solite note. Di forte impatto sicuramente la battuta di apertura, quanto mai vera, del giornalista Barisoni, argomento di cui abbiamo parlato anche noi già l’anno scorso: secondo un recente studio, durante la notte di Capodanno nella città di Napoli vengono emesse più sostanze inquinanti che un inceneritore nell’intero anno.
Il fil rouge di tutto il convegno lo si potrebbe riassumere nella mancanza di coraggio delle Amministrazioni, Governo su tutte, di investire nel settore dei rifiuti.
Gli addetti ai lavori denunciano la situazione da anni, ma le Istituzioni sembrano non cogliere la gravità del problema. Eppure la situazione non è mai stata così critica: i roghi e gli incendi degli impianti di selezione e stoccaggio che ormai sembrano essere diventati una normalità, non sono altro che la conferma della tragica condizione in cui si trova il settore dei rifiuti, come ormai documentiamo dettagliatamente anche noi da diverso tempo.
Monumentario l’intervento di Chicco Testa, Presidente dell’associazione FiseAssoambiente, che punta il dito direttamente contro il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa che, effettivamente, si è sempre schierato contro l’apertura di nuovi impianti. Secondo il condivisibile ragionamento del Presidente Testa, l’opinione pubblica non potrà mai essere favorevole alla costruzione di nuovi impianti se lo stesso Ministro dell’Ambiente si schiera contro.
Secondo lo studio del Ref succitato, alle aziende costa 1,3 miliardi in più lo smaltimento dei rifiuti. Qualsiasi imprenditore potrà confermarvi che effettivamente i prezzi di smaltimento sono cresciuti in maniera esponenziale.
I materiali recuperabili non sono più valorizzati e lo smaltimento degli irrecuperabili sale di giorno in giorno.
Fino all’anno scorso la carta veniva pagata alle aziende, oggi è impensabile ritirarla senza chiedere un contributo ai clienti. Il problema è che la domanda di materiali riciclati è nettamente inferiore rispetto all’offerta.
Le cartiere richiedono meno carta, ma a seguito della raccolta differenziata e della selezione degli impianti intermedi, la quantità di carta riciclata disponibile è enorme. E intanto Unirima, l’associazione di categoria della aziende che trattano la carta da macero, ogni due mesi pubblica una circolare con dati allarmanti.
Il valore della carta, da gennaio a ottobre 2019, è crollato del 75%. Avete capito bene: 75%.
Stesso discorso vale per il legno e per il vetro. Mai come in quest’ultimo anno i conferimenti presso i riciclatori finali sono stati a “singhiozzo” con aumenti vertiginosi dei prezzi.
Come giustamente precisato da Roberto Paterlini, Amministratore Delegato del Gruppo Iren Ambiente, durante il convegno di Ecomondo, l’Italia ricicla il 65% dei rifiuti raccolti, il restante è destinato allo smaltimento ed ammonta a 35 milioni di tonnellate all’anno. Purtroppo, i termovalorizzatori in Italia ne possono gestire solo 7 milioni, quindi gli altri finiscono o in discarica o all’estero.
A pagare per questi squilibri, come conferma la ricerca di Utilitalia, è soprattutto la competitività dell’intero sistema delle imprese, con aggravio di costo che finiranno per ripercuotersi sui prezzi dei prodotti acquistati dalle famiglie e sull’occupazione e, in ultimo, nella delocalizzazione delle attività maggiormente esposte.
Concludiamo con le considerazioni finali del Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini sulla gravità della situazione e sull’acclamato “Green New Deal” che, guardando la realtà, produrrebbe più slogan che fatti:
“Occorre ripensare profondamente la gestione dei rifiuti del Paese superando il dualismo tra rifiuti urbani e speciali, realizzando gli impianti necessari, per assicurare uno sbocco allo smaltimento in prossimità, almeno ai rifiuti che non presentano necessità di impianti dedicati e specifici”.
“L’acclamato Green New Deal non può non passare prima per una misurazione dei fabbisogni, che preluda alla chiusura del ciclo dei rifiuti e alla realizzazione degli impianti mancanti per il recupero e il trattamento, e che incentivi l’utilizzo delle materie prime seconde. Avere una piena coscienza sui fabbisogni del proprio territorio, può avere diversi aspetti positivi per le amministrazioni regionali: basti pensare alla possibilità di realizzare gli impianti necessari in grado di colmare il deficit, di sensibilizzare le comunità locali e di responsabilizzare gli attori economici al raggiungimento dei target ambientali; e ancora all’opportunità di calmierare i prezzi, di riuscire a governare situazioni di emergenza e di promuovere politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti. Per tutti questi motivi ribadiamo la necessità di una strategia nazionale che disegni le strategie per i prossimi anni in un’ottica di economia circolare”.
Fonti
Convegno Utilitalia – Basta viaggi dei rifiuti tra le Regioni, per target Ue al 2035 colmare deficit di 5,3 milioni di tonnellate.
Convegno Utilitalia – Rifiuti urbani e speciali: in Italia un sistema fragile. Per l’industria un peso da 1,3 miliardi all’anno.
Il Sole 24 Ore – Rifiuti, mancano gli impianti. Il conto cresce di 1,3 miliardi di Jacopo Giliberto pubblicato il 13 novembre 2019.