REM Ecologia Srl

Le materie prime sono diventate costosissime e introvabili

I prezzi delle materie prime sono saliti alle stelle e le attività produttive rischiano di fermarsi


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30 Giugno 2021

Attualmente è in corso una vera e propria corsa per accaparrarsi le ultime materie prime disponibili. La domanda mondiale di molte merci ha superato la capacità di produzione: dall’acciaio ai microchip, dal petrolio agli imballaggi.

La ripresa mondiale dell’economia ha generato un aumento della domanda dei beni di ogni genere, causando una crescita esponenziale dei prezzi.

Le cause della mancanza di materie prime

Probabilmente, durante il lockdown, la paura maggiore era quella di un “crack economico” dovuto alla chiusura dell’attività, un crollo sul lungo periodo dei consumi. In realtà, stiamo attualmente assistendo all’esatto opposto: le aziende registrano un forte aumento della domanda, tanto da far affermare al Vicepresidente di Federmeccanica Fabio Astori che

“lo sblocco dei licenziamenti non sarà assolutamente un problema nelle aziende metalmeccaniche, noi abbiamo bisogno di personale negli stabilimenti”.  

Il problema è dunque l’aumento del prezzo delle materie prime e la difficoltà di approvvigionamento.

Le cause di questa situazione sono diverse, alcune dirette conseguenze della pandemia, altre più legate ad un discorso di pianificazione politica/economica.

L’organizzazione aziendale moderna privilegia una gestione cosiddetta “just in time”, dove le aziende, per ottimizzare i costi ed essere più efficienti, tendono a non accumulare scorte. Modus operandi incrementato ancor di più durante il periodo pandemico, dove le attività produttive erano pressoché ferme. Quindi, nel momento in cui sono effettivamente ripartite le aziende, si è generato un'esponenziale richiesta di materie prime che ha spaccato mercato e approvvigionamenti. Questa situazione ha fatto letteralmente esplodere il prezzo dei materiali portandolo alle stelle e facendo esaurire in breve tempo le scorte disponibili.

Non solo, data la situazione pandemica prima e la mancanza di materie poi, le aziende con un maggiore potere di acquisto hanno fatto scorta di materiali e semilavorati, anche più del necessario, per paura di rimanere senza.

Facciamo un passo indietro. Nei primi mesi di pandemia i valori dei prezzi delle materie prime erano sensibilmente crollati (20-30%) e la Cina, paese con un’economia pianificata e avvantaggiata anche dal fatto di essere ripartita con quattro mesi di anticipo, ne ha approfittato per fare scorte.

Oggi ci troviamo in una situazione in cui i più importanti fornitori (Cina e USA) vendono le materie in percentuali bassissime, consci dell’attuale difficoltà a reperirle. E, ovviamente, i materiali in commercio subiscono incrementi di prezzi esponenziali.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello dei mercati finanziari. Negli ultimi tempi le materie prime sono diventate un investimento interessante perché sono prezzate in dollari, moneta attualmente debole, quindi risultano più convenienti per chi le acquista in euro o altre valute.

Fonte: Dataroom

Immagine: Dataroom

Last but not least, il fattore logistico. Secondo il Baltic Dry Index, un indice che sintetizza gli oneri di nolo marittimi, nel solo ultimo anno c’è stato un aumento del 605%. Le cause sono molteplici: sicuramente la più impattante è l’introduzione del nuovo regolamento dell’Organizzazione marittima internazionale che, tra le varie novità, stabilisce che il limite massimo di zolfo presente nel carburante delle navi deve essere 0,5%, mentre prima era del 3,5%. Questa “apparentemente” piccola modifica ha comportato la “rottamazione” o “innovazione” di molti mezzi marittimi obsoleti.

Anche l’”incidente” del Canale di Suez ha fatto la sua parte in questo gioco di aumento prezzi. Come scrive l’agenzia internazionale Bloomberg, i ritardi nel trasporto mondiale di merci potrebbero durare fino al prossimo autunno. E, ancora, sempre secondo Bloomberg, hanno inciso anche la siccità dei raccolti in alcune parti del mondo, Brasile in primis o la gelata che ha paralizzato gli impianti petrolchimici nel centro degli Stati Uniti a febbraio.

Aumento esponenziale dei prezzi

La combinazione degli avvenimenti di cui sopra ha causato l’aumento esponenziale della gran parte di materie prime di ogni settore e tipologia.

Ecco qualche dato (rispetto ai livelli pre-crisi): il rame si è apprezzato del 47%; il grano del 12%, la soia del 15%; il legno del 6% e quello per pallet del 20%; il nichel e lo zinco del 51%; l’allumino del 26%.

Secondo Gabriele Buia, Presidente Ance, si osservano incrementi importanti anche nei materiali per l’edilizia come i polietileni, dove gli aumenti sono superiori del 110% tra novembre 2020 e oggi; il petrolio ha registrato un +45,3%; invece i prezzi del bitume sono saliti del +21,9% e quelli del cemento del +10%.

I dati di Confapi riportano che l’acciaio ha chiuso il 2020 con un +70% mentre i rottami ferrosi hanno registrato un balzo del +68%. L’aumento delle materie siderurgiche ha comportato importanti maggiorazioni di prezzo da parte dei produttori di laminati tanto che il prezzo del coils a caldo in Italia è passato da 370 €/ton agli attuali 1000 €/ton. Discorso simile per l’acciaio inox dove la comune lega “304” è passata da 1900 €/ton agli attuali 3000 €.

Come sottolinea giustamente Gianclaudio Torlizzi, direttore della società di consulenza finanziaria T-Commodity, la situazione in Europa è aggravata dalle misure di salvaguardia previste dall’U.E., che impongono l’applicazione di dazi del 25% quando vengono superati i limiti di import di acciaio da Pese extra UE.

Materie plastiche

L’associazione europea dei trasformatori di materie plastiche (EuPC) denuncia da inizio anno la terribile situazione che stanno attraversando le aziende del settore. Le cause sopracitate stanno minacciando la chiusura di numerose aziende e mettono in pericolo la produzione di innumerevoli prodotti che vanno dalle applicazioni nell’industria edile e automobilistica, ai beni essenziali per l’imballaggio alimentare e la filiera farmaceutica.

La ripartenza anticipata rispetto all’Europa di Cina e parte del Nord America ha spinto la domanda di materie prime per il riempimento dei magazzini (come anticipavamo sopra), mentre gli impianti di produzione viaggiavano ancora a “regime ridotto”. Quando anche la domanda continentale si è risvegliata, la disponibilità di carichi dall’estero si è progressivamente assottigliata, mentre la produzione interna non è stata in grado di far fronte alle richieste. In questo scenario si sono venuti a sommare i diversi gravi avvenimenti di cui abbiamo parlato sopra – blocco di numerose aziende petrolchimiche degli USA a causa del gelo, aumenti dei costi di trasporto – causando un’ulteriore restringimento di disponibilità di etilene e poliolefine.

Diretta conseguenza di tutto ciò è anche il rialzo del prezzo del Brent, +148% che ha comportato un aumento del costo dei polimeri di riferimento per l’industria manifatturiera quali l’etilene, il polipropilene e il PVC ha riportato rispettivamente incrementi di prezzi del 58%, 34% e 42%.

Fonte: Plastix

Immagine: Plastix

Alexandre Dangis, amministratore delegato di EuPC ha così commentato la situazione:

“I problemi di consegna sono diventati sempre più diffusi, interessando ad esempio materie prime (non limitate) come polipropilene, cloruro di polivinile e polietilene, nonché additivi speciali fondamentali per la produzione di composti e prodotti in plastica. Le gravi perturbazioni del mercato attualmente in corso in tutta Europa sono un sintomo dello squilibrio strutturale tra la produzione locale e la domanda di materie prime e additivi. Senza il ripristino di tale equilibrio, è altamente probabile il ripetersi periodico di gravi interruzioni della catena di produzione. Infine, anche i clienti finali subiranno danni a causa di interruzioni nella consegna dei prodotti e dei semilavorati”.

Anche Luca Iazzolino, Presidente di UnionPlast – Associazione delle aziende italiane di trasformazione – sottolinea la gravità della situazione:

“Non sono da escludere possibili fermi impianto per carenza di materia prima, in un contesto complesso che segue una crisi internazionale senza precedenti, e proprio nel momento in cui le imprese per ben più di una ragione, non ultima la gravità della pandemia in corso, dovrebbero concentrarsi sul rilancio e sulla produttività. La gravità della situazione condiziona inevitabilmente gli impegni assunti e mette a rischio la possibilità di rispettare i termini di consegna per un periodo di tempo oggi non prevedibile. Abbiamo scalato montagne per resistere al Covid e ora ci dobbiamo inginocchiare di fronte alla mancanza di materiali. Il risultato finale è semplice: gli Usa si tengono stretti le poche materie prime che riescono a produrre. Cina e India pagano qualsiasi cifra per non interrompere le forniture. La Ue ha quasi rinunciato a produrre polimeri e dipende da Usa e Medio Oriente”.

Anche quando disponibili, le plastiche sono sempre più care: il prezzo del polietilene a bassa densità, utilizzato soprattutto nel packaging alimentare, a marzo superava di oltre il 50% la quotazione dell’ottobre 2020, mentre il PET grado bottiglia e il polipropilene sono rincarati, nello stesso periodo, del 40% e il polistirene intorno al 70%.

Transizione ecologica e materie prime

Nei giorni scorsi il programma Dataroom ha pubblicato l’inchiesta di Milena Gabanelli e Rita Querzè in cui viene posta l’attenzione sulla reperibilità delle materie prime necessarie alla transizione ecologia e digitale.

Due settori nel quale tutte le aziende stanno investendo e che, proprio per questo motivo, si prevedono margini di crescita esponenziali nei prossimi anni.

Ma quali sono le materie prime necessarie per queste due “rivoluzioni”? Rame, litio, cobalto, silicio, nichel, stagno e le cosiddette terre rare. Solo nell’ultimo anno lo stagno ha avuto un incremento di prezzo del 133%, mentre il neodimio, utilizzato per collegamenti elettrici e marmitte catalitiche, di ben 447%.

Immagine: Dataroom

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, attualmente, i ricavi dovuti dalla produzione di carbone sono dieci volte superiori agli introiti realizzati con la produzione dei minerali utilizzati per la transizione ecologica; ma tra meno di 20 anni la situazione si capovolgerà nettamente.

Ovviamente il Paese più lungimirante in questo senso è stato, ed è tutt’ora, la Cina, la quale è riuscita negli ultimi anni a monopolizzare il mercato di questi minerali. Il gigante asiatico estrae nei propri territori rame, litio e terre rare; mentre le altre materie le prende nei Paesi produttori: come il nichel nelle Filippine e il cobalto in Congo, trasformandoli, poi, direttamente nel loro Paese.

Secondo la società di analisi britannica Benchmark Mineral Intelligence, l’80% dei materiali grezzi per la costruzione delle batterie agli ioni di litio proviene da aziende cinesi. 

Per il reperimento delle terre rare dipendiamo dalla Cina per il 98%, stessa percentuale per il borato dalla Turchia, mentre per soddisfare il fabbisogno di platino ci rivolgiamo al Sud Africa per il 71% del necessario.

Immagine: Dataroom

L’entrata sul mercato di veicoli elettrici, tecnologie digitali, generatori eolici, ecc. farà incrementare entro il 2030 il bisogno europeo di litio fino a 18 volte in più rispetto a quello attuale e di 5 volte quello per il cobalto.

La mancanza di componenti elettriche, micorchip e parti plastiche ha già fermato la produzione in alcuni stabilimenti Ford e Stellantis di Melfi. La Vitesco di Faulia, azienda da 970 dipendenti, si è fermata ad aprile.

Come invertire il trend?

L’Europa, conscia dell’essere troppo dipendente dai colossi “Cina-USA”, ha deciso di instituire un’Alleanza per le materie prime - European Raw Materials Alliance (ERMA) - fondata su 3 obiettivi:

  • Sviluppo di imprese per il riciclo dei minerali pregiati

Purtroppo in Europa il riciclo di rifiuti elettrici ed elettronici non riesce ancora a decollare soprattutto a causa di un evidente ritardo strutturale. Questa tipologia di rifiuti la mandiamo per la maggior parte in Cina, pagando, quando invece potremmo recuperare circa il 50% di ogni singolo elemento. Inoltre, una buona percentuale di rifiuti elettrici ed elettronici che riusciamo a non mandare in Cina, la sprechiamo buttandola in discarica perché tendiamo a gettare nell’indifferenziata pc rotti/telefonini non più funzionanti/ecc.

Sicuramente questo è un aspetto su cui l’Europa deve assolutamente migliorare. Oltretutto, ci rimettiamo due volte perché questi rifiuti, se non smaltiti correttamente, hanno un impatto devastante sull’ambiente.

  • Agevolare l’estrazione di minerali pregiati presenti sul territorio UE

Secondo i dati, la domanda di litio potrebbe essere soddisfatta per l’80% internamente. Attualmente i metalli pregiati estratti in Europa vengono trasformati in Cina. L’obiettivo di questa alleanza è implementare velocemente i processi di lavorazione di queste materie. In Europa esistono diversi giacimenti di terre rare e riuscire a reperirle direttamente “in casa” ci renderebbe meno dipendenti dai Paesi esteri, Cina in primis, e sicuramente più sostenibili.

  • Costruire una politica estera e industriale comune

Per riuscire ad avere un certo peso internazionale ed assicurarci delle concessione di estrazione dei minerali, che attualmente non abbiamo, l’unica soluzione è che l’Europa si muova compatta in tal senso.

Sicuramente l’estrazione di metalli pregiati è un’attività invasiva per il territorio, ma la loro necessità è un dato di fatto. Bisogno che aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni.

Sarà necessario decidere se si è disposti a lasciare il monopolio di questo mercato ai giganti Cina/USA, accettando il ricatto dei prezzi.

Inoltre, secondo quanto riportato da Dataroom, nel 2008 un consorzio di società statali cinesi ha firmato un accordo con il Congo per i diritti di estrazione di rame e cobalto fino al 2033, per un valore di 84 miliardi di dollari. In cambio si è impegnata a investire 6 miliardi di dollari nelle infrastrutture del Paese e circa 3 miliardi nel settore minerario.

Da anni in quelle miniere è sfruttato il lavoro dei bambini. Forse è arrivato il momento per l’Europa di assumere un ruolo da protagonista e cambiare le cose.

Ecco il servizio di Milena Gabanelli con un'intervista di Enrico Mentana.