REM Ecologia Srl

Rifiuti: mancano gli impianti e aumentano i costi

Aumentati i costi di smaltimento del 40% e la TARI ci costa 75 milioni di euro in più


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11 Novembre 2020

Se i numeri sul riciclo sono tendenzialmente buoni, come abbiamo ampiamento documentato in questo nostro articolo, non si può dire lo stesso del fabbisogno impiantistico nazionale.

Alla luce degli ormai celeberrimi obiettivi europei – in particolare del raggiungimento entro il 2035 del 65% di riciclaggio e dell’uso della discarica per una quota massima del 10% – la gestione dei rifiuti nel panorama nazionale è estremamente complessa: si notano picchi di virtuosismo in alcune regioni, con numeri tra i migliori in Europa, e aree con dati sconfortanti per quanto concerne il trattamento dei rifiuti e l'export.

Abbiamo cercato di fare il punto della situazione utilizzando gli ultimi studi pubblicati in questo periodo dalle più importanti associazioni del settore.

Ne è emerso un quadro non proprio rassicurante: la mancanza di impianti ha come ovvia conseguenza il cosiddetto “turismo dei rifiuti” ossia l’emigrazione degli scarti da regione a regione; ma non solo, dagli studi esaminati emerge chiaramente che la TARI, nel corso degli anni, ha subito un netto aumento – 75 milioni di euro aggiuntivi solo nel 2018 – proprio come conseguenza diretta della mancanza di impianti.

Ma questo aumento della TARI è coinciso con investimenti mirati e lungimiranti o è stato utilizzato solo come “pezza” per i gravi ritardi ecologici presenti in molte Regioni?

I numeri di REF Ricerche e FiseAssoambiente

Secondo il dossier realizzato dall’associazione di categoria FiseAssoambiente con la partecipazione di REF Ricerche Per una strategia nazionale dei rifiuti – Due anni dopo, la strategia nazionale sui rifiuti mette le gambe presentato durante l’evento "Il verde e il blu festival" a cui abbiamo partecipato, mancherebbero impianti ambientali per trattare circa 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti con discrepanze regionali non più accettabili.

Nello specifico, lo studio esegue un resoconto dettagliato della situazione, analizzando ciò che è cambiato negli ultimi 18 mesi:

  • Aumentata la produzione di rifiuti: +2% (+590 mila/ton.) di rifiuti urbani, + 3,3% (+4,6 mln./ton.) di rifiuti speciali.
  • Sono diminuiti gli impianti di gestione: -396 impianti totali per gli speciali (meno impianti di incenerimento e di digestione anaerobica).
  • Sono aumentati i deficit regionali (a 2,2 mln./ton) quindi la movimentazione di rifiuti a recupero energetico/smaltimento.
  • È aumentato l’export di rifiuti: +31% (+110 mila/ton.) per gli urbani, +14% (+420 mila/ton) per gli speciali.
  • Sono aumentati i costi di smaltimento: +40%.
  • Alcuni impianti di incenerimento sono stati accantonati (Firenze, San Filippo del Mela…) e per altri si annuncia la chiusura (Colleferro, Montale, Livorno…). Nessun nuovo impianto né progetto.
  • I mercati del riciclo sono entrati in crisi per il “Chinese ban” e il Covid-19.

Come ripartire? La proposta di FiseAssoambiente

Come sottolineato dallo stesso Chicco Testa, Presidente di FiseAssoambiente, abbiamo delle occasioni irripetibili nei prossimi mesi per quanto concerne il finanziamento economico:

“Serve una strategia nazionale di gestione dei rifiuti che fornisca una visione nel medio-lungo periodo migliorando le attuali performance. Per farlo nei prossimi mesi abbiamo due irripetibili occasioni da cogliere: il piano di aiuti messo in campo dalla UE (Recovery Fund) e il programma nazionale per la gestione dei rifiuti da definire nei prossimi 18 mesi, secondo quanto previsto dalla direttiva europea appena recepita”.

Il sistema ecologico necessita di riforme che accompagnino gli investimenti verso la transizione all’economia circolare e regole certe, affiancate da strumenti economici, per sostenere gli investimenti e far funzionare il mercato.

Abbiamo tre importanti opportunità nell’immediato futuro:

  1. Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  2. Nuovi fondi strutturali (Next Generation EU e nuovi fondi europei 2021-2027).
  3. Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (previsto dalla nuova direttiva).

Guardiamoli nel dettaglio.

1. Piano nazionale di ripresa e resilienza

Bisogna adeguare norme incentivi e fondi relativi al trattamento rifiuti e scarti per favorire l’attivazione di progetti di economia circolare a livello aziendale, attraverso un piano strategico specifico. Ad esempio Incentivare la gestione e conversione dei rifiuti sotto tutte le forme «waste to material energy fuel hydrogen chemical)»; Semplificare e revisionare le normative esistenti al fine di rendere efficace la gestione dell’End of waste.

Inoltre definire e finanziare investimenti infrastrutturali nel ciclo dei rifiuti urbani ed industriali.

Come sottolinea FiseAssoambiente, la crisi economico sociale è senza precedenti (crollo del PIL e dell’occupazione, esplosione del debito, aumento delle disuguaglianze) ma la risposta europea c’è.

2. Nuovi fondi strutturali

Necessitiamo di finanziamenti a sostegno degli impianti e incentivi per il funzionamento del mercato.

Ma non solo, bisogna migliorare anche le riforme di sistema:

  • Semplificare le autorizzazioni per avviare i nuovi impianti (da 5 anni a 6 mesi), ma anche quelle per rinnovare l’impiantistica esistente
  • Rivedere il codice degli appalti anche per gli impianti dei rifiuti
  • Rivedere le procedure VAS (Valutazione Ambientale Strategica), VIA (Valutazione di Impatto Ambientale), modalità di partecipazione e conferenze di servizio
  • End of waste nazionale, processi autorizzativi più snelli, superare il pregiudizio
  • Incentivi al rafforzamento patrimoniale delle aziende

3. Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR)

Un programma nazionale che chiarisca e tenga conto della ricognizione impiantistica nazionale; le linee guida per la pianificazione regionale; il monitoraggio dei target riciclaggio UE e dei flussi problematici; l’individuazione di flussi strategici per l’economia circolare; il fabbisogno e le soluzioni impiantistiche di area vasta, le predisposizioni di percorsi e meccanismi per la gestione delle emergenze.

FiseAssoambiente ha proposto un piano da 10 miliardi per il raggiungimento degli obiettivi europei (2025/2030/2035) che si focalizza sui seguenti aspetti:

  • Organico e fanghi: impianti di digestione anaerobica
  • Frazioni secche: piattaforme e stoccaggi
  • Scarti della RD: impianti di recupero energetico e discarica
  • RUR: impianti di recupero energetico e discarica
  • CSS (rifiuto o End of Waste): impianti, uso cementifici e centrali elettriche
  • Riduzione Export: obiettivi intermedi e finali
  • Smaltimento: discariche per pericolosi, inerti, amianto
  • Stoccaggi: dimensionamento rete minima e di emergenza
  • Gestione specifici flussi (costruzione e demolizione, car fluff, pneumatici, veicoli fuori uso)

Meno impianti, più “turismo dei rifiuti”

È un dato di fatto: nelle aree in cui mancano gli impianti di trattamento aumenta esponenzialmente l’export dei rifuti.

Secondo la ricerca I fabbisogni di trattamento dei rifiuti urbani nel Sud condotta da Utilitalia – la Federazione che riunisce le aziende dei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas – e presentata al Green Symposium di Napoli, solo nel 2018 sono partiti dal Sud oltre 25 mila camion carichi di rifiuti verso le regioni del nord. Ogni anno i viaggi dei rifiuti ammontano a 22 milioni di km percorsi, con oltre 14 mila tonnellate di CO2 equivalente.

Numeri importanti che riflettono una situazione precaria: l’equilibrio attuale della gestione dei rifiuti nelle regioni meridionali è apparente, dal momento che si basa sullo smaltimento in discarica e sull’esportazione.

Basti pensare che il 41% dei rifiuti non esportati vengono smaltiti in discarica, la media nazionale è ferma al 20,2%. E ricordiamo che l’obiettivo comunitario da raggiungere è il 10% entro il 2035. Ma non solo, Utilitalia stima che la vita residua delle discariche in esercizio nel Mezzogiorno arrivi solo fino al 2022.

Sempre nel solo 2018, sono state esportate verso il nord 420 mila tonnellate di organico (il 30% della produzione) e 190 mila tonnellate di rifiuti per il recupero energetico.

Secondo quanto dichiarato dal vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini:

“Si continua a rimandare un problema non più procrastinabile: l’economia circolare e gli impianti non sono due elementi in contrasto, ma rappresentano due facce della stessa medaglia. Non a caso, i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti. Abbiamo oggi la grande opportunità di pensare a un approccio nuovo rispetto alle scelte in tema di rifiuti: investire in questa direzione ci consentirà di avere una raccolta più efficiente, città più pulite e tariffe più basse; se invece restiamo fermi, rischiamo di essere travolti dall’emergenza”.

Considerando l’attuale capacità installata, Utilitalia stima che, se si vuole annullare l’export dei rifiuti entro il 2035, servono investimenti pari a 2,2 miliardi di euro, oltre a quelli per lo sviluppo delle raccolte differenziate: ciò per soddisfare il fabbisogno di trattamento della frazione organica per ulteriori 2 milioni di tonnellate, e di incenerimento con recupero di energia per ulteriori 1,3 milioni di tonnellate.

Di cosa abbiamo bisogno per raggiungere i target UE 2035

Il recente studio condotto da CESISP – Centro Studi in Economia e Regolazione dei Servizi, dell’Industria e del Settore Pubblico – dell’Università Milano-Bicocca dal titolo Circular Capacity: stima del fabbisogno impiantistico per il piano nazionale di gestione dei rifiuti (urbani) conferma la grave situazione impiantistica: pochi e distribuiti male.

La situazione in Italia è quanto mai eterogenea, con regioni che presentano una sovraccapacità – Lombardia in primis – ed altre gravi ritardi.

Per il raggiungimento degli obiettivi comunitari del 2035, il CESISP stima una convergenza di tutte le regioni italiane a quelle più virtuose – pertanto: raccolta differenziata al 69,93% e conferimento in discarica al 6,57% – attraverso una programmazione che consideri un incremento potenziale della capacità di trattamento FORSU (Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano) di circa 1 mln/ton. e della capacità di termovalorizzazione di circa 2,7 mln/ton.

Congiuntamente con all’incremento della raccolta differenziata, lo studio stima un eccesso di capacità installata in impianti di TMB (Trattamento Meccanico Biologico, utilizzato da molte regioni come setacciatura sommaria per trasformare i rifiuti urbani – da trattare solo all’interno della regione di produzione – a rifiuti speciali – trattabili anche fuori regione) per quasi 5 mln/ton. qualora appunto si riducesse di 4,5 mln/ton. il conferimento dei rifiuti urbani in discarica, condizione che si verificherebbe se le regioni raggiungessero la soglia del 6,57% di conferimento in discarica.

Meno impianti, più TARI

La mancanza di un’efficiente rete impiantistica, oltre che incentivare il “turismo dei rifiuti”, ha come conseguenza anche una maggiorazione della TARI che si riversa proprio sui cittadini.

Paradossalmente, a pagare una tassa più alta sono proprio i cittadini dei territori che non hanno impianti, quindi pagano di più per un servizio peggiore.

Come stimato da Utilitalia, più gli impianti sono lontani e maggiore è la TARI: 75 milioni di euro aggiuntivi.

Spiega il vice Presidente Brandolini:

“La carenza e la non equilibrata dislocazione degli impianti è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola. Il paradosso è che i cittadini dei territori nei quali non ci sono sufficienti impianti sono costretti a pagare le tariffe dei rifiuti più alte ed hanno una qualità ambientale più bassa. È un classico caso di servizio inefficiente a fronte di tariffe più alte per la cittadinanza, e al contempo un esempio di quali siano i costi de non fare: al contrario gli impianti sono investimenti in grado di produrre ricchezza negli stessi territori che attualmente spendono risorse in maniera improduttiva”.

Come constatabile dalla grafica di REF Ricerche, il divario tra nord e sud è molto ampio. Non solo, il centro ricerche denuncia una inefficienza della gran parte degli strumenti economici che non raggiungono gli obiettivi per il quale sono state istituiti:

  • La TARI è in crescita con ampie diversificazioni territoriali, percentuali di morosità e non indirizza il comportamento degli utenti.
  • Il Contributo Ambientale CONAI non raggiunge la copertura dei costi e non ha offerto incentivi al ripensamento del packaging in chiave di riciclo.
  • Gli incentivi energetici sono in calo e lontani dalla gerarchia dei rifiuti.
  • Stato, Regioni, Province offrono sempre meno investimenti pubblici e inadeguati rispetto ai fabbisogni.
  • L’ecotassa non ha disincentivato lo smaltimento e non ha sostenuto il riciclo.

Economia circolare: oggi o mai più

I desolanti dati esposti non sono una fotografia nuova per il settore dei rifiuti. Anche noi, su queste stesse pagine, denunciamo da molto tempo la situazione: mancanza di impianti, aumento dei costi, lentezza burocratica, ecc.

Se si vuole davvero parlare di economia circolare, bisogna cominciare a tutelare il settore: attualmente, stando ai numeri, la convenienza economica imporrebbe di abbandonare il riciclo; suggerirebbe la raccolta indifferenziata per poi smaltire il rifiuto anziché effettuare la raccolta differenziata e il riciclo.

Come constatabile dalla grafica di REF Ricerche, e come denunciamo da mesi, l’andamento calante del prezzo delle Materie Prime Seconde sui mercati non giustifica più il riciclo. L’offerta è nettamente più alta della domanda.

Il caso della carta da macero è un esempio lampante di come il settore non sia stato capace di reagire al blocco delle importazioni della Cina nel 2018. Oggi la carta ha subito un tracollo incalcolabile, con crolli di prezzo di oltre il 90%.

Il riciclo è un’attività di mercato che può avere delle oscillazioni dovute a moltissime varianti, dunque bisognerebbe garantire al sistema un livello di sicurezza, misure di garanzia nazionale in tempo di crisi economiche o emergenziali.

Come sottolineato dalle varie Associazioni menzionate e dai vari studi citati, oggi sembrerebbero esserci tutti i presupposti per attuare delle vere e proprie politiche ambientali utili per colmare il gap impiantistico che abbiamo con il resto d’Europa, così da raggiungere gli obiettivi comunitari fissati per il 2035.

Ma bisogna muoversi, questo potrebbe essere l’ultimo treno…

Fonti

FiseAssoambiente e REF Ricerche - Per una strategia nazionale dei rifiuti – Due anni dopo, la strategia nazionale sui rifiuti mette le gambe

REF Ricerche – Un’economia circolare che non gira da sé

CESISP Università Milano Bicocca - Circular Capacity: stima del fabbisogno impiantistico per il piano nazionale di gestione dei rifiuti (urbani)

Utilitalia – I fabbisogni di trattamento dei rifiuti urbani al sud