REM Ecologia Srl

Qual è l’impatto dei termovalorizzatori sulla nostra società?

Sono davvero nocivi per l'uomo? Ecco quanto emerso dall'analisi degli ultimi studi in materia


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11 Marzo 2021

È stato recentemente pubblicato il “Libro Bianco” sull’incenerimento dei rifiuti urbani, realizzato dai Politecnici di Milano e Torino, l’Università di Trento e quella di Roma 3 Tor Vergata, nel quale sono stati analizzati i dati relativi all’impatto ambientale dei termovalorizzatori e le eventuali conseguenze sulla salute umana.

La ricerca è stata promossa e presentata da Utilitalia, la Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici dell'Acqua, dell'Ambiente, dell'Energia Elettrica e del Gas.

Crediamo che l’argomento necessiti di particolare attenzione, in quanto nel nostro Paese il tema viene trattato spesso con sufficienza.

La situazione del settore dei rifiuti

Facciamo una veloce panoramica sulla situazione in cui naviga il mondo dei rifiuti. I nostri lettori più accaniti sapranno che il settore ecologico non attraversa proprio il suo momento migliore. La situazione è ampiamente degenerata a causa del “Blocco Cinese”, ossia la decisione del Sol Levante di non importare più rifiuti, letteralmente, da tutto il mondo (abbiamo sintetizzato l’argomento, per approfondimenti sul tema consigliamo questo articolo). L’avvenimento è stato come aprire un vaso di Pandora dal quale è emersa tutta la fragilità di un settore in cui tutti parlano ma pochi agiscono.

Il “Blocco Cinese”, entrato in vigore alla fine del 2017, ha evidenziato come l’aumentare della raccolta differenziata non significhi maggiore riciclo; anzi, in un paese poco strutturato a livello impiantistico, ciò può comportare un vero e proprio collasso del sistema.

Che sia ben chiaro: non stiamo affermando che la raccolta differenziata sia opposta al riciclo, ma che dev’essere complementare ad impianti di trattamento, recupero e smaltimento.

Quindi l’Italia – ma non solo, tutto il mondo si comportava in questo modo – riciclava nel proprio paese i rifiuti qualitativamente migliori, i più valorizzabili cercando di mantenere un certo equilibrio tra domanda e offerta; mentre spediva in Cina lo scarto in eccesso. Nel momento in cui il governo cinese ha chiuso le importazioni, tutto l’Occidente si è ritrovata con una montagna di surplus di materiale derivante dalla raccolta differenziata che non sapeva come gestire.

Paesi maggiormente strutturati a livello impiantistico, sono riusciti ad evitare il default del sistema grazie alla presenza sul proprio territorio di impianti di termovalorizzazione, che hanno assicurato anche un recupero energetico della materia.

Oggi, ad aggravare la situazione è la pandemia che, tra le altre cose, ha reso obbligatorio l’utilizzo di alcuni dispositivi di protezione (monouso) che prima non venivano impiegati i quali, rifiuti a essendo rifiuti a rischio biologico/infettivo, devono necessariamente essere smaltiti. Ciò ha reso ancor più necessaria la presenza di impianti di incenerimento.

In Italia pochi impianti e molto “turismo dei rifiuti”

Nonostante l’Italia sia un Paese decisamente virtuoso sotto diversi aspetti, risulta avere un ritardo impiantistico non indifferente rispetto ai maggiori Paesi europei.

Come avevamo ampiamente documentato in questo articolo, la situazione in Italia è quanto mai eterogenea, con Regioni che presentano una sovraccapacità impiantistica – Lombardia in primis – ed altre gravi ritardi.

Conseguenza diretta della mancanza di impianti è il cosiddetto “turismo dei rifiuti”, ossia il trasportare i rifiuti da una Regione all’altra – o anche all’estero – affinché siano trattati e/o smaltiti, con tutte le conseguenze che questa operazione implica: aumento dei costi di gestione, dei costi di trasporto e maggiore inquinamento.

Attualmente ci sono in Italia 38 inceneritori – contro i 96 tedeschi e i 126 francesi – che sono però non distribuiti in modo equilibrato sul territorio, dato che soprattutto al Centro-Sud se ne registra una significativa carenza, che comporta ancora un eccessivo ricorso alla discarica o all’esportazione in altre Regioni o all’estero.

Secondo la ricerca di Utilitalia, nel 2019 i termovalorizzatori italiani hanno trattato 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani, producendo 4,6 milioni di MWh di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica, riuscendo a soddisfare il fabbisogno di circa 1,7 milioni di famiglie.

Mentre nel solo 2018 sono state esportate per il recupero energetico o lo smaltimento in discarica dalle regioni del centro-sud verso altre regioni, circa 1,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali da urbani.

Purtroppo nel nostro Paese, nonostante la situazione sia stata denunciate più volte dagli esperti del settore e dalle associazioni di categoria, sembra prevalere una atteggiamento di totale immobilismo figlio di una certa opinione pubblica che alimenta la repulsione dei cittadini verso questi impianti.

Ma i termovalorizzatori fanno male?

Arriviamo alla domanda principale e più importante: questi impianti sono nocivi? Secondo tutti gli ultimi studi, i termovalorizzatori hanno emissioni infinitamente minori rispetto, ad esempio, al riscaldamento domestico o ai veicoli stradali. Inceneritori e termovalorizzatori devono rispettare limiti di emissioni in atmosfera molto stringenti che non hanno eguali nel panorama delle installazioni industriali.

Secondo i dati pubblicati nel “Libro Bianco” di Utilitalia, il contributo degli inceneritori relativamente alle PM10, è pari solo allo 0,02% contro il 53% delle combustioni commerciali e residenziali. Per gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), è pari allo 0,007% contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali. Mentre per le diossine ed i furani, si attesta allo 0,2% contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali.

Da questi dati emerge chiaramente come gli impianti di incenerimento abbiano impatti decisamente inferiori rispetto alle attività di riscaldamento o di trasporto, soprattutto se prendiamo in considerazione i dati degli impianti di ultima generazione.

Quindi quali sono i potenziali impatti sulla salute della popolazione?

La ricerca ha analizzato diversi studi epidemiologici condotti in diverse aree del pianeta in cui sono presenti inceneritori. Riportiamo quanto scritto da Filippo Brandolini, Vice Presidente di Utilitalia sull’argomento:

“Per gli impianti rispondenti alle Best available techniques (Bat) – conformi alla legislazione sull’incenerimento dei rifiuti e, di conseguenza, anche ai prestabiliti limiti alle emissioni – emerge che gli inceneritori non possono essere considerati fattori di rischio di cancro o di effetti negativi sulla riproduzione o sullo sviluppo umano. I livelli di emissione degli impianti di ultima generazione sono di molti ordini di grandezza inferiori rispetto a quelli operanti in territori in cui studi epidemiologici condotti hanno individuato associazioni negative in termini di salute. I livelli di diossina riscontrabili nella popolazione residente in ambienti prossimi agli impianti di incenerimento, oltretutto, non sono superiori a quelli riscontrabili in popolazioni che vivono in aree non interessate da questi impianti”.

Obiettivi europei

Alla luce degli obiettivi europei posti per il 2035 – riciclo al 65% e smaltimento in discarica non superiore al 10% – sembra chiaro che l’Europa favorisca l’utilizzo dei termovalorizzatori a discapito della discarica.

Perché questa scelta da parte della U.E.? La discarica ha un impatto ambientale assolutamente maggiore rispetto agli impianti di incenerimento. Come evidenziato nel “Libro Bianco”, solo in termini di emissioni climalteranti, la discarica ha un impatto 8 volte superiore rispetto a quello del recupero energetico negli inceneritori. Inoltre occupano permanentemente enormi distese territoriali con elevati costi di manutenzione e monitoraggio per evitare il rilascio di sostanze inquinanti. Sebbene l’utilizzo delle discariche sia da sfavorire, restano comunque necessarie in quanto alcune tipologie di rifiuti non possono essere smaltite tramite combustione; per questo motivo l’Europa indica comunque una minima percentuale di utilizzo.

In Italia purtroppo se ne fa ancora un uso elevato a causa della mancanza di alternative impiantistiche: solo nel 2019 è stato smaltito in Italia il 20% dei rifiuti urbani prodotti, ossia oltre 6 milioni di tonnellate; mentre i rifiuti speciali sono stati 11 milioni.

Meno impianti significa più costi per aziende e famiglie

Gli stessi obiettivi europei sopra esposti sottolineano una volontà comunitaria che spinge verso il recupero energetico a discapito della discarica; ne sono un esempio i Paesi del nord, definiti da molti virtuosi, green e senza rifiuti, i quali mandano nei termovalorizzatori tutto ciò che non riescono a riciclare.

Questi paesi sono l’esempio perfetto per ribadire il concetto che i termovalorizzatori sono complementari a raccolta differenziata e riciclo e non in contrapposizione. Sul nostro territorio possiamo vantare alcuni impianti di ultima generazione che non hanno eguali in Europa, sia in termini di recupero energetico che di impatto ambientale, purtroppo sono delle mosche bianche in un mare di immobilismo.

La mancanza di impianti ha ripercussioni sia sui costi da sostenere delle aziende che su quelli delle famiglie.

In questo nostro articolo analizzavamo come alle aziende sia costato 1,3 miliardi in più lo smaltimento dei propri rifiuti. Aumento figlio di tutte le cose scritte qualche riga più in su, tra tutte: la mancanza di impianti di smaltimento (quindi per un’ovvia legge di mercato, se la domanda è maggiore dell’offerta, il prezzo salirà vertiginosamente) e il dover trasportare i rifiuti per molti chilometri prima di poterli smaltire.

Ma non solo, secondo i dati del “Libro bianco”, per una famiglia tipo – 3 componenti in 100 m quadrati – nel 2019, la spesa media italiana per il servizio rifiuti è stata pari a 310 €, con forti differenze tra le aree: 273 € al nord, 322 € al centro e 355 € al sud. Come abbiamo anche noi analizzato, si stima che la TARI è maggiore di circa 75 milioni di euro nei territori senza impianti.

Immobilismo made in Italy

I dati dimostrano che effettivamente i termovalorizzatori non possono essere considerati nocivi per la salute, ne sono l’esempio gli impianti situati nei centri cittadini di alcune capitali europee come Copenaghen o Vienne, installazioni industriali che sono entrati in perfetta sintonia con la società che li circonda.

Nel nostro Paese esiste una parte dell’opinione pubblica che rema continuamente contro la costruzioni di qualsiasi tipologia di impianti, anche quelli che servirebbero a trattare i rifiuti per riciclarli, sostenuti da una certa politica che, come una bandierina cambia opinione a seconda di come tira il vento.

In Italia è sempre mancata una seria opera di informazione ai cittadini sull’utilità, il funzionamento, i benefici e la totale sicurezza di questi impianti. A tutto ciò fa eco una classe politica che non ha il coraggio di prendere decisioni (anche se necessarie) “impopolari”, in quanto sa che ciò coinciderebbe con un sicuro tracollo dei consensi alle prossime elezioni.

E si continua nell’immobilismo.

Fonti

Libro Bianco sull'incenerimento dei rifiuti urbani